No alla frode processuale per il datore che altera i luoghi dell’infortunio

La Suprema Corte ha preso in esame nella sentenza nr. 9806 dei giorni scorsi la condotta del datore di lavoro che aveva modificato lo stato dei luoghi in cui si era verificato l’incidente per occultare le prove della sua responsabilità, configurandosi in tal caso l’esimente della necessità di salvarsi da un grave rischio per la libertà e l’onore di cui all’art. n. 384 c. ed escludendo così il reato di frode processuale.
Nel caso di specie era stato dimostrato in giudizio che l’imprenditore aveva violato le norme di sicurezza e inquinato le prove prima dell’arrivo dei soccorsi, oltre ad aver minacciato alcuni lavoratori per indurli a rilasciare dichiarazioni a sé favorevoli. L’imputato era quindi stato condannato per lesioni colpose, minaccia e frode processuale.
Confermando la condanna per gli altri reati, la Suprema Corte ha tuttavia escluso la sussistenza della frode processuale ritenendo la condotta non punibile perché finalizzata ad evitare la condanna.
Secondo i giudici, infatti, “l’esimente deve ritenersi applicabile anche quando lo stato di pericolo sia stato cagionato volontariamente dall’agente”.

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