Interesse e vantaggio al vaglio della Cassazione

Nel contesto di un articolato procedimento cautelare per fatti di corruzione, la Cassazione ha ribadito che “ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente, è sufficiente che venga provato che lo stesso abbia oggettivamente ricavato dal reato un vantaggio, anche quando non è stato possibile determinare l’effettivo interesse vantato ‘ex ante’ alla consumazione dell’illecito e purché non sia contestualmente stato accertato che quest’ultimo sia stato commesso nell’esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi” (sentenza n. 15543 del 23 aprile scorso).
Nel caso in esame, il vantaggio dell’ente era quindi correttamente rinvenibile nella stipula di contratti successivi all’accordo corruttivo, dal momento che in proprio in tale patto trovavano la propria giustificazione.
La Corte ha tuttavia censurato il provvedimento che aveva confermato il sequestro dell’intero corrispettivo dei predetti accordi, posto che “il profitto viene identificato nel ricavo lordo quando s’inserisce […] validamente, senza alcuna possibilità di letture più restrittive, nello scenario di un’attività totalmente illecita. Quando, invece, l’illecito penale si innesta, come nel caso di specie, episodicamente in un’attività imprenditoriale lecita, e, in particolar modo, ‘nel settore della responsabilità degli enti coinvolti in un rapporto di natura sinallagmatica’, l’identificazione del profitto con il lordo può subire, per così dire, una deroga o un ridimensionamento, nel senso che deve essere rapportata e adeguata alla concreta situazione che viene in considerazione”. Pertanto, siccome “la remunerazione di una prestazione lecita, ancorché eseguita nell’ambito di un affare illecito, non può ritenersi sine causa o sine iure; e, quindi, non costituisce profitto di un illecito, ma profitto avente titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale”, la Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza del Riesame per una nuova decisione sul punto.

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