Privacy aziendale e diritto di accesso

Con la recente ordinanza n. 32533/2018, la Corte di Cassazione ha affermato il diritto del lavoratore di accedere ai documenti che lo riguardano, compresi quelli contenenti valutazioni soggettive formulate del datore di lavoro.
Nel caso in esame, una banca aveva proposto ricorso contro il provvedimento dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali con cui veniva ordinata l’esibizione degli atti richiesti da un suo dipendente, in relazione al relativo procedimento disciplinare.
A sostegno del rifiuto di mostrare tali atti, la difesa invocava la riservatezza aziendale, evidenziando come l’incarto a cui si chiedeva l’accesso contenesse dati “di uso strettamente interno (…) anch’essi protetti dalla normativa sulla privacy”.
La Suprema Corte ha invece ritenuto illegittima la scelta della banca di mantenere riservati gli atti “non potendo essere in facoltà della parte decidere discrezionalmente ciò che può essere reso manifesto e ciò che può non esserlo”: al contrario, nel bilanciamento tra contrapposti interessi, prevale il diritto del lavoratore a conoscere la documentazione. Pertanto, affermano i giudici, sono ostensibili anche i dati valutativi che hanno fondato la decisione aziendale e non solo quelli oggettivi.
Irrilevante è infine lo scopo per cui viene esercitato il diritto. La normativa in materia, l’art. 7 del Codice Privacy, oggi abrogato e sostituito dall’art. 15 del Regolamento UE 2016/679, non pone limitazione in tal senso: l’accesso può pertanto essere consentito anche per finalità difensive dal dipendente che intenda impugnare il provvedimento disciplinare.