Il TAR Campania sul whistleblowing

Il Tribunale Amministrativo della Regione Campania, con la sentenza n. 3880/2018, ha ammesso il ricorso di una dirigente scolastica destinataria di un esposto in cui era accusata di aver posto in essere atti persecutori (mobbing e bossing) nei confronti di un assistente amministrativo alle sue dipendenze.
La dirigente, per potersi difendere dalla accuse, depositava istanza di accesso agli atti al fine di conoscere i fatti alla stessa imputati. Riceveva, tuttavia, solo parte della documentazione poiché, secondo l’amministrazione, il rilascio integrale era impedito dall’esigenza di tutelare la riservatezza dell’identità del segnalante, così come previsto dall’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001, che come noto disciplina l’istituto del whistleblowing nel settore pubblico.
Di parere diametralmente opposto il Collegio, secondo cui la citata disposizione si riferisce ad una fattispecie diversa: ossia quella del dipendente pubblico che, venuto a conoscenza per ragioni di ufficio di fatti illeciti, si risolva a segnalarli nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione. Il caso in esame sarebbe invece da ascrivere ad una più classica controversia giuslavoristica volta a tutelare diritti ed interessi tipici del rapporto di lavoro.
Se ogni denuncia di violazione dei diritti di lavoratori – continua il Collegio – «fosse ascritta alla fattispecie del whistleblowing (che nasce, anche storicamente, da esigenze di contrasto di fenomeni corruttivi) e di conseguenza i relativi atti fossero sottratti ad accesso ne deriverebbe una irragionevole compressione del diritto di accesso ai documenti che costituisce “principio generale dell’attività amministrativa”».
In definitiva l’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori.